Recenti analisi condotte dalle Agenzie regionali per la protezione ambientale (Arpa) in Calabria e Toscana hanno rilevato livelli preoccupanti di contaminazione da sostanze perfluoroalchiliche (PFAS – cancerogene) nei pesci e crostacei delle coste italiane, spingendo Greenpeace a sollecitare interventi urgenti.
Le indagini, svolte tra il 2021 e il 2023, mostrano che una parte significativa del pescato nelle aree marino-costiere di queste regioni è contaminata da PFOS (acido perfluorottansolfonico), un composto appartenente al gruppo PFAS e classificato come possibile cancerogeno.
Risultati delle analisi: il caso di Toscana e Calabria
In Toscana, tra il 2018 e il 2023, l’Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana (Arpat) ha condotto studi su diverse specie ittiche delle acque marine, con particolare attenzione ai cefali, mostrando contaminazioni record. A Castiglione della Pescaia, nella foce del fiume Bruna, è stato trovato un cefalo con 14,7 microgrammi di PFOS per chilo, una concentrazione ben oltre i livelli di sicurezza per la salute umana. Anche nella costa pisana, in particolare nelle foci dell’Arno e del Fiume Morto, i valori misurati (rispettivamente 5,99 e 5,65 microgrammi per chilogrammo) superano ampiamente la soglia settimanale tollerabile per il consumo umano, fissata dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA).
Situazione analoga è emersa dai dati forniti dall’Agenzia regionale per la protezione ambientale della Calabria (Arpacal), che ha rilevato livelli pericolosi di PFOS nelle triglie, naselli e cicale di mare prelevati lungo la costa ionica e tirrenica. Alcune cicale di mare hanno addirittura superato i 3 microgrammi per chilo, il limite stabilito dal Regolamento europeo 2022/2388 come sicuro per il consumo umano.
Friuli-Venezia Giulia: un’eccezione?
D’altro canto, i campionamenti effettuati dall’Arpa del Friuli-Venezia Giulia nel 2021 nell’alto Adriatico non hanno riscontrato presenza di PFOS nei pesci analizzati, anche se i dati riguardano un numero limitato di campioni. Questo risultato positivo, tuttavia, non rappresenta una garanzia di assenza totale di rischi, considerando la limitatezza dei dati e delle molecole analizzate.
La denuncia di Greenpeace: “Servono azioni urgenti”
Secondo Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna inquinamento di Greenpeace Italia, questi dati mostrano chiaramente come i PFAS possano entrare nella catena alimentare, arrivando sulle tavole dei consumatori italiani. La contaminazione, pur limitata per ora al solo PFOS tra le oltre 10.000 molecole appartenenti ai PFAS, evidenzia un problema “grave e potenzialmente rischioso” per la salute di migliaia di persone. “Questi risultati – ha dichiarato Ungherese – confermano l’urgenza di vietare l’uso e la produzione dei PFAS”.
Gli effetti dei PFAS sulla salute e l’ambiente
Classificati come inquinanti persistenti, i PFAS sono composti sintetici largamente impiegati in numerosi processi industriali e presenti in molti prodotti di uso quotidiano, come rivestimenti per tessuti impermeabili, pentole antiaderenti e imballaggi alimentari. Le ricerche indicano che tali sostanze, una volta disperse nell’ambiente, possono accumularsi negli organismi, inclusi gli esseri umani, e sono associate a effetti negativi su fegato, reni e sistema immunitario, oltre ad essere classificate come potenziali cancerogeni.
Verso una normativa più stringente
Il problema dei PFAS e della loro diffusione nella filiera alimentare solleva dubbi sull’efficacia delle attuali normative. Mentre la normativa europea ha recentemente fissato dei limiti di sicurezza per il consumo di pesce contenente PFOS, Greenpeace e altre organizzazioni chiedono un divieto più ampio per tutta la famiglia dei PFAS. Tali richieste si riflettono in iniziative legislative sia a livello europeo che nazionale, dove si stanno valutando misure di restrizione per limitare la produzione e l’utilizzo di queste sostanze.
Conclusioni
Il quadro emerso dalle analisi in Calabria e Toscana è preoccupante: i PFAS rappresentano un rischio concreto per la salute umana, e la loro presenza nei mari italiani indica un problema di contaminazione “fuori controllo”. L’appello di Greenpeace a regolamentare in modo più severo l’uso di queste sostanze potrebbe rappresentare un passo fondamentale per la tutela della salute pubblica e dell’ambiente.