Sono passati 33 anni da quel giorno maledetto, quando il Prof. Giovanni Trecroci, vicesindaco e assessore ai Lavori pubblici del Comune di Villa San Giovanni, veniva ucciso sotto casa con cinque colpi di pistola in testa.
Trecroci, persona onesta e molto stimata, è stato assassinato poco prima della mezzanotte, tra il 7 e l’8 febbraio 1990 mentre rientrava a casa a Cannitello, al termine del Consiglio comunale. Quarantasei anni, docente di lettere nella scuola media della vicina San Eufemia d’Aspromonte, sposato, lasciava una figlioletta di appena un anno e mezzo e la giovane moglie in attesa di un altro bambino. L’omicidio è rimasto un caso irrisolto, ad oggi senza un colpevole.
Era il 7 Febbraio 1990, di Pantaleone Sergi La Repubblica del 9 Febbraio
Secchi, precisi, rapidi: cinque colpi di pistola in testa. Così è morto Giovanni Trecroci, vicesindaco dc e assessore ai Lavori pubblici. Così è tornato il terrore tra gli amministratori di Villa San Giovanni sui quali in passato è gravata la tutela opprimente delle cosche mafiose e contro cui si è esercitato spesso il virtuosismo degli artificieri della ‘ndrangheta.
Giovanni Trecroci è stato assassinato poco prima della mezzanotte di mercoledì mentre rientrava a casa, al termine del Consiglio comunale che si era protratto fino alle 23 circa. A Villa c’è sgomento e paura. Esiste un forte, documentato, interesse di clan mafiosi sull’assetto urbanistico della città, data la sua particolare posizione (è la porta d’ Italia per chi arriva dalla Sicilia); c’è ancora una denunciata decennale pressione di forze ed interessi occulti mafiosi sul consiglio comunale per pilotare le scelte di carattere urbanistico, e ci sono poi in arrivo quasi 200 miliardi di investimenti per il nuovo porto a sud del centro abitato e per la metanizzazione di tutto il comune. Infine, proprio da Villa, nell’ottobre del 1985 è partita la cruenta guerra tra le cosche del reggino che ha fatto registrare in quattro anni oltre 500 morti.
Si inquadra in questa fosca cornice l’assassinio del vicesindaco Trecroci? Per Pietro Zagarella, dirigente il commissariato di polizia, la chiave del delitto va ricercata proprio nell’attività amministrativa.
E anche i carabinieri sono della stessa idea, anche se nessuno se la sente di escludere altre ipotesi. Tra queste ultime, infatti, i magistrati che negli ultimi tempi hanno indagato sulla ‘ndrangheta o processato le cosche della zona, sottolineano la possibilità di una vendetta ritardata contro il professionista il quale in passato aveva fatto parte della giuria popolare in Corte di assise durante processi per episodi di mafia. Anche il fratello dell’assessore, Franco, vicepreside al liceo Campanella di Reggio, per dieci mesi ha fatto parte della giuria popolare al maxi-processo per la guerra di mafia. Il sostituto procuratore di turno, Vincenzo Pedone, ha disposto comunque il sequestro di numerose pratiche nell’assessorato diretto dalla vittima, soprattutto di quelle legate a grosse operazioni immobiliari dietro le quali potrebbero nascondersi prestanomi e amici dei mafiosi in guerra.
Per quel che adesso si sa, infatti, in passato il vicesindaco ucciso è stato denunciato solo per una licenza edilizia (avrebbe occultato dei documenti) ad una sala giochi. Ed è tutto. E un documento dell’amministrazione comunale che per oggi ha decretato il lutto cittadino, fa capire quanto qui sia asfissiante la presenza dei poteri criminali: Il dilagare della violenza si dice nel documento rende impossibile amministrare. Non lasciateci soli, implorano quindi gli amministratori. Qui a Villa, lo sanno tutti, bisogna fare i conti con una mafia spavalda i cui interessi sono stati quasi sempre legati alle vicende del piano regolatore generale.
Che ruolo ha svolto in questo contesto Giovanni Trecroci, il quale da quindici anni sedeva in Consiglio comunale e da cinque era assessore ai lavori pubblici? Si è opposto al volere dei clan o non ha mantenuto qualche promessa fatta? Sta di fatto che terminato il consiglio comunale il vicesindaco è rientrato a casa da solo, nella frazione marinara di Cannitello. Sul lungomare ha incontrato il cognato Enzo Cassone. Dopo qualche minuto aveva già parcheggiato la propria vecchia Bmw amaranto e si accingeva ad entrare in casa. In quel momento è scattato l’agguato, nel buio, nel silenzio della notte. Forse hanno sparato in due. Nessuno, neppure nella palazzina bassa di via Vittorio Emanuele dove la vittima abitava, ha udito però gli spari. I sicari avranno usato pistole munite di silenziatore. E’ stato Enzo Cassone, rientrando a casa poco dopo, a notare il corpo insanguinato del cognato. Era ancora in vita, è spirato cercando di dire qualcosa, forse pronunciando un nome. Poi sono arrivati inquirenti e magistrato ed è stato avvisato anche il sindaco Domenico Aragona, amico personale della vittima.
Aragona nel 1980, anche allora primo cittadino, era stato vittima di una serie di attentati esplosivi. Scattano così antiche paure. Carabinieri e polizia ripescano rapporti e indagini fatte in passato, soprattutto su violenze subite da diversi amministratori, tra cui l’ ingegnere Antonino Idone, consigliere comunale con delega al piano regolatore, Rosario Greco e Giuseppe Marra, consiglieri comunali che sul problema edilizio avevano preso posizioni decise.
Villa San Giovanni è la zona in cui si è stabilita da qualche anno la cosca di Antonino Imerti, boss di Fiumara di Muro, quando si è affrancata e si è scontrata con il clan dei De Stefano di Reggio Calabria. Mafiosi di rango si sono accaparrati in questa zona grossi appezzamenti di terreno e gli interessi negli anni sono diventati così corposi. In che modo i clan hanno tentato di controllare le decisioni dei politici? Facendo presenziare, minacciosamente, i propri uomini in Consiglio quando si doveva discutere del futuro urbanistico della città.